domenica 13 giugno 2010

La Cina come tassello mancante nel dilemma di sicurezza della penisola nord coreana



A più di mezzo secolo dalla fine della guerra di Corea abbiamo di recente assistito al più grave atto di aggressione militare portato a segno dalla Corea del Nord a danno del vessillo Cheonan e che è costato la vita a quarantasei militari della marina facente capo a Seoul. Quale sarà l’evoluzione dei rapporti internazionali in Asia alla luce delle risposte strategiche e politiche dei principali attori interessati alla sicurezza della regione? Quali saranno gli effetti sul già compromesso processo di denuclearizzazione della penisola?

Nelle scorse settimane l’accertamento della nazionalità del torpedo che ha colpito e affondato il vessillo della marina militare sud coreana lascia davvero pochi dubbi sull’origine di questa aggressione non preceduta, almeno a prima vista, da atti violenti o provocatori contro il regime della Repubblica popolare democratica della Corea del Nord (RPDCN).
Come abbiamo visto, ciò ha innescato una nuova escalation delle tensioni tra tutti gli Stati portatori di interessi nella penisola coreana. Alla aspra risposta degli U. S. A. s'è affiancata la grave decisione della Corea del Sud di sospendere gli scambi economici, gli aiuti umanitari e l’accesso dei mercantili battenti bandiera nord – coreana alle proprie rotte commerciali.
D'altra parte, l'ambivalenza di China e Russia nel trattare la questione nord – coreana , motivate in buona parte dall'esigenza di bilanciare il peso geopolitico nordamericano in estremo oriente, non fa’ altro che avvolgere ancora di piu' nella nebbia i possibili risvolti della vicenda nei mesi a venire. Fermo restando che ora più di prima il processo di riconciliazione tra Seoul e Pyongyang assume le sembianze di un miraggio , sono almeno due i fattori che continuano a fare la differenza nei giochi strategici intorno alla sicurezza in Asia.
In primo luogo, c’è la muraglia che si erge intorno alle decisioni, praticamente imprevedibili, che maturano a nord del 38° parallelo. La scarsa trasparenza e l’opacità della compagine politica guidata da Kim Jong – il, la capacità di sorprendere attraverso comportamenti del tutto repentini e talvolta contraddittori (anche se, secondo alcuni osservatori, solo apparentemente irrazionali) ed il ricorso alla costante retorica belligerante, hanno reso difficile la "gestione" internazionale dell'unico Stato che, essendo in possesso di materiali nucleari utili a fini militari e dei missili capaci di veicolarli, ha unilateralmente revocato la propria adesione al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP).
In secondo luogo, ogni cambiamento che porti ad una stabilizzazione della penisola coreana, passa attraverso l’impegno e l’azione concreta della Cina, fin qui poco presente e piuttosto riluttante a prendere una posizione ferma e decisiva nei confronti dei capricci della Corea del Nord.
Secondo alcuni studiosi l’inerzia di Pechino è motivata da diversi elementi in gioco. In pratica, rispetto ad un paese completamente isolato, Pechino beneficia del monopolio dei traffici commerciali, energetici e finanziari verso la parte nord della penisola coreana (e viceversa). Inoltre è assai fondato il timore che ogni pressione nei confronti di Pyongyang possa provocare il collasso di un regime storicamente alleato, peraltro con l’inevitabile e temuta conseguenza di una catastrofe umanitaria e relativo flusso di rifugiati verso il territorio cinese.
La auspicata presa di posizione della Cina non deve necessariamente tradursi nella promozione di sanzioni draconiane in seno al Consiglio di Sicurezza ONU, infatti, in un clima in cui si vocifera circa le cattive condizioni di salute di Kim Jong – il, Pechino è l’unico attore capace di influire su una successione che favorisca uno establishment incline ad aprire la strada verso le riforme, magari seguendo proprio il modello cinese, e che migliori le relazioni con lo Stato “gemello” del sud.
Alcuni danno una lettura dell’affondamento della Cheoan che supporta l’intuizione dell’approssimarsi di un passaggio di consegne nelle stanze del potere a Pyongyang. Oltre a configurarsi come gesto dimostrativo contro il Governo conservatore di Seoul (che si è in parte discostato dalla precedente decennale impostazione riconciliatoria nota come Sunshine Policy), l’episodio di aggressione potrebbe essere un gesto teso a conferire legittimazione al successore attraverso un atteggiamento simbolico di sfida che possa essere “somministrato” all’opinione pubblica interna.
Questa interpretazione poggia sui precedenti di natura terroristica che, agli inizi degli anni ottanta, prepararono l’avvicendamento al potere dello stesso Kim Jong – il in luogo del padre Kim il – Sung. Si ricordi in proposito l’orchestrata esplosione del volo 858 della Korean Air nel 1987, oppure, l’assassinio di circa metà dell’esecutivo sud – coreano in visita di Stato in Birmania (1983).
L’aggressione avrebbe dunque lo scopo di sopperire alla carenza della credenziale rivoluzionaria del successore su cui si andrà a creare, attraverso una sapiente e martellante propaganda, l’aurea mitologica del nuovo leader carismatico.
La completa inefficacia delle solite esercitazioni congiunte tra le milizie U. S. A. e della Corea del Sud, impongono di approfondire il ruolo della Cina che sembrerebbe il vero ago della bilancia nella delicata questione coreana.
Aldilà della necessità di mantenere il clichè del grande Stato comunista che protegge il fratello minore in virtù delle affinità ideologiche, la postura di Pechino viene da taluno giustificata per via del mantenimento di una visione di politica internazionale anacronisticamente ancorata alle logiche della Guerra Fredda.
Infatti, mentre è piuttosto improbabile che il traballante regime del nord possa durare a lungo senza che si verifichi al suo interno una qualche forma di evoluzione, ciò che sembra certo è che il futuro è nelle relazioni con Seoul. Ad oggi ammonta a circa 190 miliardi di dollari il giro di affari intrattenuti tra Cina e Corea del Sud, cioè, cento volte superiore a quello tra Cina e Corea del Nord.
Si deve anche considerare che Pyongyang, in quanto fattore destabilizzante in estremo oriente, è di fatto un peso strategico sulle spalle di Pechino (anche se non sappiamo fino a che punto venga cosi percepito dalla classe dirigente del gigante asiatico); all’osservatore attento non sfugge certo la relazione tra le minacce di riarmo del Giappone ed i continui gesti di sfida di Kim Jong – il.
Il generico richiamo dei timonieri cinesi ad un ritorno al dialogo multilaterale dei sei (Russia, Cina, Stati Uniti, Giappone, RPDCN e Corea del Sud) per risolvere l’enigma del programma nucleare nord – coreano, oltre ad essere inefficace sembra piuttosto fuori contesto vista la gravita della situazione.
L’impressione di fondo è che, proprio nel cortile di casa, Pechino non sappia (ed in parte non voglia) assumere quel ruolo di responsabilità e di super potenza globale che la prorompente crescita economica ha contribuito a rafforzare negli ultimi anni.


Riferimenti:

Vladimir Dvorkin, Rising Tension Between North and South Korea:
www.carnegieendowment.org/publications/index.cfm?fa=view&id=40872

Richard N. Haass, How to Handle North Korea:
www.cfr.org/publication/22246/how_to_handle_north_korea.html?breadcrumb=%2Fbios%2F3350%2Frichard_n_haass.

Victor D. Cha, North Korea: Succession Signals:
www.cfr.org/publication/22219/north_korea.html

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